Iturbe

Monte Olimpo. E poi gli altri.

JUVE ROMA

Prima di cominciare, concedetemi di abbandonarmi a un flusso di pensiero.

Ma io ho un pubblico? Se sì, cosa vuole da me? Vuole polemica? Apre i link solo per la vignetta? Pensa che io sia uno che può dire qualcosa di interessante sul calcio, sopra il già detto mille e mille volte?

Il problema è che scrivere questo articolo mi sta creando non pochi problemi, non per l’articolo in sè ma per quello di cui dovrei parlare.

Sì,avete capito a cosa mi sto riferendo. Juventus-Roma.

La fantomatica linea editoriale che tento di stabilire, tra una partita dell’Atletico Maranella e l’altra, mi impone in primis di cercare di dire quel qualcosina in più degli altri (perchè sennò ‘sto blog sarebbe più inutile di quanto già sia) e tentare di essere (udite udite!) ORIGINALE.  Quindi se vi aspettate la moviolona anche qui, potete uscire immediatamente.

In Juve-Roma, lo sappiamo tutti, è successo di tutto.

Ma più del rigoreNonrigore e del gomblotto, ho provato emozioni per altre cose. Tipo Gervinho che fa saltare la testa al povero Ogbonna. Tipo la splendida azione del gol di Iturbe. Tipo Bonucci che segna dai 20 metri, al volo, di collo pieno, e si fomenta come un mandrillo in calore. Ahhh, questi sono i brividi sulla pelle di chi segue il calcio.

Il resto è fuffa. O almeno, ti può fare incazzare sul momento, ma finisce lì. Il resto è tanto rancore, tante rosicate, tanti fegati corrosi rubati all’agricoltura.

Ai tempi di Iuliano-Ronaldo (lontano 1998) perlomeno non c’erano i vari Facebook,Twitter, Instagram, WhatsApp. Ti scannavi solo per strada, faccia a faccia, buttavi il tuo veleno e tornavi a casa, fine. Ora siamo tutti dentro e le mura amiche non servono più a proteggerci dall’immondizia.

Vi siete calmati? Bene, ora chiudete gli occhi, respirate e facciamo finta che la Juve abbia vinto 3-2 con la Rivale per eccellenza di questi due anni, senza errori arbitrali. Resta il fatto che questo dice il campo, e ci troviamo con una Juventus che si porta già a +3 e getta una seria ipoteca sul campionato. Manca ancora un’intera stagione, ma il film sembra proprio quello già visto dell’anno scorso. In casa la Juve sembra uno schiacciasassi e, come abbiamo visto, riesce ad agguantare i tre punti pure quando tutto sembra andare male, malissimo. Sull’1-2 della Roma il mio Senso di Tifoso s’era allarmato: guarda un po’, siamo allo Juventus Stadium, e una Roma che sta giocando benissimo ha appena segnato un gol fantastico. E’ fatta, Allegri dovrà agitarsi, la Roma sorpasserà la prima della classe, ora si manterrà in difesa e magari metterà dentro un altro gol. Che sorpresa, che colpo di scena, che emozione.

Invece no, la Juve ha dato una botta di antidolorifici al mio Senso, e se questo è deprimente per me, figuriamoci quanto può esserlo per i giocatori della Roma. Rincorrere e dover subire una sconfitta in uno scontro diretto è sempre devastante per il morale, e spesso è decisivo per le sorti del campionato. Da juventino, starei in paradiso. Brava Juventus. Brava e fortunata, ma pur sempre lì, lì davanti, a guardare tutti dall’alto.

Mentre Juventus e Roma giocano nel cortile del Monte Olimpo, molto più giù, ai piedi della montagna, squadre interessanti si contendono il torneo dei comuni mortali, e lì il Senso di Tifoso si esalta. Si sta assistendo a qualcosa di tragico, come la storia dell’Inter, trovatasi dopo due mesi a mettere in dubbio le sue stesse basi, a chiedersi se Mazzari è l’uomo giusto per continuare, a chiedersi se la squadra supererà un altro anno, l’ennesimo, che si profila di triste transizione (dal Triplete… a cosa?). Inter travolta da una Fiorentina che finalmente segna il gol casalingo (ben tre tutti assieme, una scorpacciata), ritrova la trottola Cuadrado e si affida a Babacar per dimenticarsi dell’assenza della coppia d’attacco potenzialmente più forte del campionato (Rossi e Gomez) e che, per una sfiga degna di Paperino, in un anno e mezzo avrà giocato sì e no 6 partite.

C’è il Milan, e c’è soprattutto Honda. Quello che l’anno scorso si era rivelato un pippone patentato è diventato improvvisamente un giocatore con numeri da top player. O al Milan s’erano sbagliati, e l’anno scorso a Milanello era arrivato un qualsiasi ragioniere giapponese coi capelli platinati, o Keysuke s’è improvvisamente svegliato dalla lunga ibernazione causata dal campionato russo, e s’è ricordato di saper giocare a calcio. Incredibile, e poveri tutti quelli che all’asta del fantacalcio hanno lasciato andare il giapponese per quattro noccioline più Cascione.

E, a proposito di scarsoni che diventano tutto ad un tratto fulgidi campioni, vogliamo parlare del buon Andrea “BeneBene”  Stramaccioni? Sarà che all’Inter aveva una squadraccia, oltretutto quasi tutta infortunata; sarà che ha chiuso il campionato con la coppia di attacco AlvarezRocchi (e Kuzmanovic trequartista eh); sarà che forse la piazza nerazzurra è complicata per un allenatore così giovane. Sarà, ma all’Udinese pare aver ritrovato il suo Eden. Affidandosi all’intramontabile Totò Di Natale, l’allenatore romano sta ricreando il compatto mix di Guidoliniana memoria, fatto di giovani sconosciuti e piccole certezze, e si piazza nei piani alti della classifica. BeneBene, non c’è nulla da ridire.

Ai piedi del Monte Olimpo ci sono tantissime belle storie da raccontare, che meriterebbero un articolo a parte; mille parole per ogni squadra che, con mille problemi finanziari e senza l’apporto economico e “politico” tipico delle “grandi”, ogni anno riesce dignitosamente a proporre un calcio di qualità al pubblico italiano. E a trovare gli stimoli per seguire una Serie A che arranca ogni anno di più.

Belle storie di provincia, dicevamo, come la lettera al padre di Halfredsson, che ha fatto commuovere ogni tifoso che, delle volte, ricorda che dietro ai calciatori esistono anche persone.

Occorrerebbero tonnellate di parole per raccontarle tutte, e magari qui presto troveranno spazio, magari in una rubrica a parte. Sempre se ho tempo. Perché, come i calciatori, anche dietro ad ogni raccattapalle esiste una persona, e spesso sottopagata e piena di lavoro.

Ecco, ho ripercorso la genuinità del calcio, del calcio giocato, quello vero, quello fatto di maglie, gol, azioni, parate, fede. Ed è stato bello. Non ricordo nemmeno cos’è successo a Torino domenica pomeriggio…

Il vostro odiato Raccattapalle.